Ostiglia (MN): Italiani, brava gente
È un film dei primi anni ’60. Può essere, però, una sintesi dei tempi nostri. Magari, durante una sonnacchiosa giornata di inizio settembre ,ti squilla il cellulare, e ti dicono di partire. È questione di lavoro. Tuo o di chi ti è accanto. La meta è una parola aspirata: Ostiglia. Hai paura che nel nome ci sia il destino. Così pensi alla geografica appartenenza con una località splendida. Mantova. Ricordi di gioventù si affollano. Ed io a fatica li respingo. Ma non basta. All’orizzonte da una parte vige Bologna dall’altra svetta Verona. Sovrasta la Lombardia. Stare in mezzo è sempre un’occasione. L’autostrada del Sole, dove è quasi sempre grigio, mi accompagna per ore. Senza stanchezza. E con curiosità. Di sera, all’arrivo, si offuscano i ricordi. Ed anche i contorni. Lotti con l’angoscia. E la fame. Le combatti e vai a dormire. L’albergo è francescano. Cerchi il crocifisso. Con le ore capisci la fortuna di averlo già trovato. Così come il pregresso pasto, malmangiato. Ma durante la notte un giro per l’agglomerato urbano, ti rinfranca. Mi piace. Lo stile architettonico è dispari. I portici sono un’opportunità di fascino. Le strade entrano nelle poche piazze. Queste ultime, con le giuste giornate, perché no, inducono all’ozio. Gli arredi sono spartani, ma giusti. I portici ospitano negozi quasi sempre chiusi. Mi parlano di argini del Po. L’incontro di sera. Non indovino nulla. Manco i confini. Ci riprovo di giorno. La maestosità in uno spolvero d’acqua. I dettagli sono sfuggenti e sfumati. L’aria, nel paese, che si respira è rigorosa ma non severa. I rumori latitano. Tranne per una festa, improvvisata, di mezzasera, inizio weekend, in un viale. Abbastanza gente. Tutti, però, di una certa età. La mia. Musica live, c’è chi partecipa. Alcuni aspettano la brasiliana d’ordinanza, che ballerà. Intravedo un bar pasticceria. È scritto Gamba. Mi attrae. Domattina si potrebbe iniziare così, penso. Infatti lì mi dedico il primo caffè del giorno. Davanti mi trovo, a servirmelo, una persona bellissima. Involucro e contenuto. Occhi brillanti, denti da sorriso, abitino svolazzante. Le chiedo se era proprio lei, la sera prima, tra quelle che ballavano. Più che la risposta di diniego, colpisce la ricerca dell’assoluta dimostrazione di innocenza. Gli occhi sgranati e le mani alzate conferiscono un senso di tenerezza. Quanta dolcezza Stefania, in quei gesti. Però, colgo, una leggerissima, impercettibile, ombra di tristezza. Me l’immagino, sempre, accompagnata da una colonna sonora di cantautorato anni 70-80. Diventiamo, senza saperlo ,un tentativo d’amicizia. Mi racconta. Tanto, molto. Senza dimenticare il sorriso d’ordinanza. La sua vita, impressa, innervata ed intersecata dall’impresa Bar Gamba, da portare avanti. Con i giorni scoprirò il suo rispetto per 120 anni di storia che trasudano da quelle mura. Mi offre la specialità della casa. Torta Ostigliese. Non si può raccontare. Si assaggia. Una commistione di sapori da premio Oscar. Anche il caffè, per me capriccioso, fa la sua figura. Mi raccontano che è eccellenza il locale. Certificato pure dall’ordine costituito. Farò sempre il tifo per la Stefania. Una scheggia elettrica, ma due spalle grosse così. Da trascinare pesi,incombenze e responsabilità. Fino al podio. Mi ha aiutato. Non si può dimenticare. E non lo farò. E non solo perché, francamente, donna bella e mamma meravigliosa. Ma ho incontrato ancora ed ancora persone, personaggi e personalità. Una galleria. Tanta umanità, qualche amarezza. Le seconde le ho cancellate. Se scavo nella fiera, assurgono i volti di Cristina, miscelata in pacatezza e battaglia. Poi don Alessandro, paziente e concreto, che Dio lo benedica, sempre. Silvia, barwomen disponibilmente energica. Asslam pizzaiolo, non napoletano per mancanza di prove. Giovanna, persona tanto perbene, ovunque presente nelle serate del paese. Eppoi il vice sindaco. E c’è Manlio, per lui un posto nel mio cuore. La quieta Manuela con Giorgio. I ristoratori che mi hanno, a fatica, per gli orari stringenti che si sono auto imposti, ristorato. I titolari dei B&b che mi hanno ospitato. Ogni sera in tour personale, ero costretto a cambiare, per penuria di posti. Naturalmente molti altri compongono il mio personale appello, ma ho riservato il finale ad Arianna. Quando si entra nel suo negozio, bisogna reggersi forte. Ci si trova al cospetto, credo, della vera Valentina di Crepax. Sublime. Diretta e decisa. Andarla a trovare delizia la giornata. Sono passati pochi giorni, forse sei in tutto. Torno a casa. Ed ho capito due cose. Anzitutto a breve, ritornerò. E lo faro ancora e poi di nuovo. Inoltre, devo ancora offrire appieno la mia futura, eventuale, nettezza di giudizio. Lo faccio imboccando l’autostrada. L’impressione, ha collimato, esattamente, con quanto avevo intuito subito. In origine. Il tessuto sociale non mente. Rimanda subito l’idea. Quella di trovarsi in una terra di confine. Stretti tra lombardi, veneti ed emiliani. Evidentemente, si mutua qualcosa da tutte le parti. La severità del nord e l’allegria, recondita, del bolognese. Per cui il limbo è lì. Si annida tra il vorrei ma non posso. Vorrei ma non devo. E spero non arrivi mai il vorrei ma non voglio. Aspettami ancora Ostiglia. Sarò ancora tuo. E non voglio essere più solo ospite.
Enzo Pecorelli
Giornalista