Lettere al direttore: Il festival dei Madonnari di Grazie
Riceviamo e pubblichiamo questo messaggio di Elisabetta Giannaccini.
Vorrei parlare davvero di quello che succede al festival dei Madonnari di Grazie, al di là di tutti i proclami, ringraziamenti, incensamenti, ricchi premi e cotillon. Ho partecipato per 7 volte, e alcuni particolari stridenti mi sono saltati agli occhi fin da subito. Primo fra tutti, il contrasto fra “i nostri amici madonnari”, “gli artisti madonnari”, “l’anima di Grazie” e il modo in cui erano trattati. Il campus, il parco giochi di una ex scuola, in cui veniva concesso di piantare le tende, o dormire in brandine ammassate sotto i tendoni. Ma del resto, sono madonnari, vivono x strada, qui hanno addirittura i bagni chimici (3 per circa 50 persone) e le docce (anch’esse, stessa struttura, 3 x 50 persone) e un (1!) lavandino esterno (quest’anno all’inizio anche senza specchio, tanto i madonnari non si fanno la barba, non si lavano il viso, non si pettinano). Ma alla fine ci si adatta a tutto, perché la festa, quella vera, non sta là fra bancarelle e venditori, ma nel conoscere le persone, ritrovarsi con i madonnari, diventati ormai amici, con i quali capita di trovarsi in altre parti d’Italia, per altri festival. Quando non esiste notte né giorno, e al campus si trova sempre qualcuno sveglio, qualcuno che suona o che canta , che ride, o che disegna, ancora. E sul piazzale è bello vedere le tecniche di tutti, le interpretazioni di tutti, con chi porta sul sagrato anche la propria storia difficile, o chi la propria storia la porta dentro, continuando a disegnare santi e Madonne. Ma l’organizzazione, come le antiche Accademie fossili di stampo ottocentesco, porta avanti un proprio ideale di bellezza, di quello che può essere riprodotto, sintetizzato da quegli enormi faccioni che catturano l’attenzione; e chi se ne frega di chi cerca di comunicare in modo diverso, o cerca il movimento, la resa anatomica di stampo impressionista, la riproduzione di opere semisconosciute o di chi racconta una storia diversa. A fine concorso poi si fa il “Congresso” dei Madonnari, con le autorità che magari fingono anche di ascoltarti, per apparire più democratici possibile. Salvo poi buttare come carta straccia le richieste fatte, per quanto minime: un bagno vero, dove potersi lavare tranquillamente senza rischiare che la doccia sia usata dal pubblico per fare pipì (fatto accaduto), anche considerando che basterebbe aprire una porta, quella della scuola, perchè i bagni esistono, sono lì vicini, ma usati solo dalle associazioni e dalla scuola madonnari, quella stessa scuola che ripropone con lo stampino faccioni con occhi lucidi e labbra perfette un compenso adeguato,che tenga conto della distanza da cui provengono i madonnari, che spesso, oltre venire lì a proprie spese, ci rimettono, perché la cifra data su indicazione della giuria (e su quali criteri non è dato sapere) non copre neanche le spese di viaggio, con buona pace del rispetto per l’arte madonnara e delle persone che , bene o male, passano 8-10 ore chine sull’asfalto a disegnare (e neanche il materiale viene fornito – chi lo vuole se lo paga). Quest’anno la situazione è stata ancora più grave, perché a fronte di uno sponsor che ha dato 20000€ in più del consueto, si è preferito fare premi più grossi per i vincitori, mentre i circa 130 madonnari semplici (saranno mica loro che fanno lo spettacolo?) devono accontentarsi delle briciole, e a volte nemmeno di quelle. Da quest’anno inoltre ogni contestazione deve essere in forma scritta, così si sono anche tolti di torno la seccatura del contradditorio, e io in forma scritta ho manifestato il mio dissenso, lasciandola scritta sotto la mia opera, e inviandovi questa lettera per una possibile pubblicazione, ma ho il sospetto che sia stata subito censurata, come probabilmente questa mia.
Elisabetta Giannaccini