Mostra di Bernard Aubertin a Mantova 18 dicembre 2016 – 22 gennaio 2017
Bernard Aubertin
Fuoco Vivo
opere scelte
presso Falcinella Fine Art
Galleria Apollo (corso Umberto I, 52 – Mantova)
Inaugurazione domenica 18 dicembre 2016, dalle 18.30 fino a notte fonda
Domenica 18 dicembre 2016, a Mantova, alle ore 18,30, sarà inaugurata – presso la Galleria Apollo in corso Umberto – la nuova sede di Falcinella Fine Art. E il nuovo spazio espositivo sarà l’occasione più propizia per ammirare una fiammante mostra di estrema qualità, grazie a una selezionatissima scelta di opere di Bernard Aubertin.
Lorenzo Falcinella propone dunque una creativa esperienza estetica post-crisi per allestire un luogo d’arte, in pieno centro, immaginato quale spazio d’incontro e di dialogo con tutto il consorzio civile mantovano.
Le opere di Bernard Aubertin saranno poi il propellente esplosivo ideale per iniziare tale dialogo e accendere un percorso tra le opere del grande artista francese recentemente scomparso. Emergerà così tutta la dimensione di un protagonista che ha primeggiato nel panorama internazionale, un protagonista troppo spesso schivo ma sempre straordinario, capace di rimanere fedele all’urgenza di essere pittore monocromatico, continuamente teso a catturare la realtà, sia che ciò accadesse con i ≪Tableaux Clous≫, sia coi ≪dessins de feu≫ o con i ≪livres brulés≫, sia che si concretizzasse grazie alle performaces che egli metteva in atto.
A chiusura del 2016, anno in cui Mantova è ancora “capitale italiana della cultura”, la galleria Falcinella è perciò orgogliosa di proporre una piccola ma preziosa rassegna monografica a un grande sperimentatore della materia, perché Aubertin muove i primi passi nell’arte in un momento in cui l’Europa guarda a materiali, tecniche e strumenti espressivi nuovi. Ed in questa occasione, oltre che a esporre alcune opere importanti dell’artista francese, autorevole e storico membro del Gruppo Zero, se ne vuole ripercorre la vicenda artistica, proponendo le tappe salienti del suo lavoro per mettere a fuoco una lettura esaustiva della sua opera declinata costantemente con l’uso del fuoco che, bruciando, crea – in modo assai poetico – inedite soluzioni espressive e comunicative.
Creatività e poesia si misurano dunque nei nuovi spazi e Aubertin, come un nuovo Zoroastro, si mostra, nelle sue opere, come un profeta del fuoco per cercare in grado di mandare in fumo tutta la materialità e il feticismo connesso al tradizionale oggetto d’arte.
Non è pleonastico infine rammentare che la rassegna si avvale di un prezioso catalogo edito dalla casa editrice il Rio con testi di Gianfranco Ferlisi.
La mostra resterà aperta sino al 22 gennaio 2017.
Chi è Bernard Aubertin, nota biografica
Bernard Aubertin nasce in Francia, a Fontenay-aux-Roses, nel 1934. Intorno al 1951 comincia l’apprendistato alla Scuola d’Arte Decorativa. Folgorante è l’incontro con Yves Klein nel 1957, che lo porta a realizzare, l’anno successivo, le sue prime quattro tavole monocrome rosse. La scelta di questo colore è spontanea, impulsiva e lo libera da ogni manipolazione cromatica del disegno, del grafismo e della composizione.
La sua ricerca si caratterizza, da subito, per l’uso esclusivo del rosso, tinta privilegiata e simbolo di sangue e al tempo stesso dell’elemento fuoco.
Nel 1961 partecipa al gruppo ZERO di Düsseldorf insieme a Mack, Piene, Uecker e nel 1957/58 al gruppo NUL di Amsterdam. Entra in contatto anche con Piero Manzoni e Lucio Fontana.
Parallelamente ai monocromi nel 1961 realizza i suoi primi tableaux feu (quadri fuoco), e nel 1962 i primi libri bruciati che riprenderà con Livres brûlés et à Brûler (libri bruciati e da bruciare) aggiungendo fiammiferi esplosivi, micce, bastoncini di fulminato, sacchetti di polvere fumogena, ceri, fiammiferi candidi ecc. all’interno di ogni pagina del libro e invitando lo spettatore a bruciare il libro.
La sua è una curiosità legata al lavoro del fuoco e al riflesso della fiamma. Dice della sua opera: «Ci sono due colori nella mia opera, quello del fuoco, della caramellizzazione, della cremazione del nero o quello rosso della pittura dei monocromi.» Dai tableaux clous (quadri chiodi) che essendo ricoperti di vernice, rappresentano perfettamente le fiamme; ai tableaux fils de fer (quadri fil di ferro), ai dessin de feu (disegni di fuoco) o ancora i parcours d’allumettes (percorsi di fiammiferi), fino ad arrivare alle performances dei pianoforti dati alle fiamme che risalgono al 1988, alle automobili bruciate degli anni Novanta…
La sua attività artistica si è svolta principalmente a Parigi, poi a Brest ed è stata costellata da frequenti soggiorni italiani tra gli anni ’70 e gli anni ’90.
La sua opera recentemente si è sviluppata verso monocromie nere, bianche o oro.
È salito agli dei il 31 agosto del 2015.
A ferro e a fuoco
Bernard Aubertin. Forse il punto di partenza della sua avventura estetica fu il 1957 quando, dopo l’incontro con Yves Klein, s’infiammò per quei monocromi blu come il cielo. Folgorato. Da quel momento fu necessario, per lui, essere ed esprimersi manualmente e mentalmente per creare emozioni alternative.
Perché la pittura astratta non gli trasmetteva più alcuna suggestione. L’incontro con la monocromia accendeva, d’improvviso, una gioia liberatoria, una purificazione da tutte le scorie dell’educazione estetica di stampo scolastico. Una felicità assoluta e una creatività incontenibile avanzavano ora in un orizzonte di fuoco. Brillavano solo superfici inebriate di rosso, i Monochromes rouges, con un colore che rimandava a una dimensione primordiale e liberatoria.
E fu così che Aubertin cominciò a mettere a ferro e a fuoco il concetto di forma per ampliare, appunto, il concetto stesso di forma. E in un clima new dada e anartistico venne il tempo precocissimo dei tableaux clous, dei quadri chiodi del 1960.
E intanto bruciava le tappe del suo percorso di crescita. Era il 1961. A soli quattro anni dai primi monocromi, nascevano le combustioni. Il rosso si fece fiamma e l’artista restò incantato, abbagliato, toccato, scottato, illuminato, ammaliato dall’agilità delle sue lingue tremolanti.
L’agonia dell’incandescenza, la miriade dei suoi punti rossi come una costellazione voluttuosa e di breve durata gli regalavano inoltre una dimensione da novello Prometeo.
L’approdo alimentò un sentimento profondo dell’esistenza e della poeticità dell’arte nel suo farsi, nel suo dilatarsi verso le derive di una realtà in cui il bandolo della matassa è sempre assai ingarbugliato.
E il fuoco generò inedita immaginazione artistica, una mitopoiesi che accendeva il ribollente crogiolo di una creatività in cui si coniugavano tormento ed eccitazione, umori tempestosi e sfrenata ebbrezza.
Il fuoco che illumina, il fuoco che forgia le armi dei guerrieri, il fuoco che riscalda, il fuoco che arde e consuma, il fuoco luciferino che brucia le anime dei dannati nell’inferno dava forma ai suoi primi Tableaux-feu (quadri fuoco) e intanto cominciavano le prime azioni performative piromaniacali.
Nascevano i libri bruciati e da bruciare (Livres brûlés et à Brûler) e le sculture infiammate.
Come un novello Zoroastro, Aubertin divenne un profeta del fuoco per cercare di mandare in fumo tutta la materialità e il feticismo connesso all’oggetto d’arte. Parallelamente entrò in contatto col gruppo zero di Düsseldorf insieme a Mack, Piene, Uecker.
E in quel contesto conobbe anche Arman, Castellani, Dorazio, Fontana, Manzoni…
Il fuoco accendeva reazioni polisensoriali, una complementare dimensione partecipativa di stampo ludico e parallelamente significava, senza mezzi termini, una rottura definitiva con i dogmi dell’arte fino ad allora tramandati.
Insieme al gruppo zero, Aubertin, con una scelta di assoluta radicalità, partecipava di un un vero e proprio cambiamento epocale, per ripartire, per l’appunto, da zero.
All’artista, ovviamente, non bastava più la dimensione lirico cromatica della pittura di ispirazione poetico/individualista. L’autore inseguiva ora una personale documentazione estetica della sua realtà e del suo agire ed essere nel mondo.
E il fuoco garantiva una scrittura con un elemento carico di energia fluida e distruttrice. E le scatole di fiammiferi, i petardi, gli zolfanelli esplosivi, le micce, i bastoncini di fulminato, i sacchetti di polvere fumogena, i cerini, i chiodi, le tavole di legno, alimentavano una azione vitale che lasciava sulla superficie delle sue opere combustioni, bruciature, incenerimenti e veli di fumo.
Nuove modalità operative e nuovi materiali determinavano una rivoluzione espressiva.
L’artista ripartiva daccapo e poteva utilizzare qualsiasi materia. La sua sperimentazione, le sue novità, anzi, accrescevano il valore dell’invenzione. Un demiurgo protagonista irrompeva perciò sulla scena dell’arte e disseminava opere e idee destinate a grandi sviluppi.
Il pubblico e la realtà furono poi definitivamente conquistati dai suoi Dessins de feu degli anni Ottanta/Novanta.
E poi nacquero performance in cui egli incendiò oggetti di uso comune, strumenti musicali e persino automobili. E intanto il maestro francese brillava felice sul palcoscenico dell’arte europea, sempre più da indiscusso protagonista delle possibilità linguistiche, intellettuali e comunicative sviluppate nel secondo dopoguerra e dei cambiamenti epocali che lo hanno caratterizzato.
Scritto da: MantovaNotizie.com
Data: 17 Dicembre 2016
Categoria: Mostre