La Galleria “Arianna Sartori” di Mantova, nella sede di Via Cappello 17, presenta la mostra “Passato, prossimo, remoto, futuro! Viaggio estetico nell’opera di Ariberto Badaloni”, curata da Arianna Sartori e con testo critico di Gianfranco Ferlisi.
La mostra si inaugura Sabato 2 aprile alle ore 17.30 alla presenza dell’Artista e con presentazione di Gianfranco Ferlisi.

L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al prossimo 20 aprile 2022 con il seguente orario: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso Festivi.

Passato, prossimo, remoto, passato futuro!
Viaggio estetico nell’opera di Ariberto Badaloni

Mostra opere Ariberto Badaloni Mantova 2022Indietro e avanti, dal passato al futuro. Ci sono esperienze quotidiane e concrete, come quelle di alcune lingue, in cui basta un nonnulla (una waw inversiva, ad esempio) e la trasformazione è immediata. Tuttavia, di consueto, l’operazione non è così facilmente praticabile dagli umani, salvo che nella finzione cinematografica. Ariberto Badaloni, esponente dell’arte visionaria contemporanea, rappresenta l’eccezione: perché è un artista così imprevedibile da riuscire a percorrere, con i mezzi estetici, persino un viaggio nel futuro e ritorno. Ciò che è impossibile nella realtà, del resto, diventa fattibile nell’arte, soprattutto quando si tratti di un autore che esplora la dimensione del “fantastico”. Occorrono, ovviamente, precisi requisiti perché il miracolo possa accadere, a partire da solidi strumenti di mestiere e da un’attenta passione per la ricerca.
Da questa debita premessa deriva la lettura dell’impatto delle sue opere. Prende quindi vita, in mostra, un racconto grafico cromatico che parla di sogni, di intrecci intimi e a stento rivelati, di un mondo in cui le immagini si sovrappongono alle sensazioni ed evocano ricordi camuffati da visioni. È un’arte che usa in qualche modo lo stesso linguaggio della poesia: messaggi suggeriti ma non spiegati, così da trasmettere sensazioni capaci di legarsi a personali, intime e diversificate esperienze sia del mittente che del destinatario. Cascate di spuma e di colore, sfumature sapienti, contrasti di luce e ombra suggeriscono, ininterrottamente, un segno solido, la persistente memoria di vecchi studi coniugati alla sperimentazione. In questo modo l’artista arriva a dipingere un mondo smarrito nell’amnesia del rispetto di questa terra che ci è stata regalata e può creare opere come la flautista del diavolo, la cui musica sembra farci scivolare alla deriva, in un mare che tutto sommerge. È qui bandita ogni bucolica vanità, ogni apparente relazione con le mode della contemporaneità à la page. Le sue sono immagini di calcolata visionarietà, appartenenti a un artista sempre animato da speranze, ancorato all’idea che il compito dell’arte sia un necessario progresso. Nasce così l’idea di cammino senza fine verso il futuro, verso condizioni umane più eque: occorre oltrepassare il “giogo del presente”, riannodare correttamente il filo rosso del passato e spingersi verso l’utopia. Per questo scopriamo un procedere per frammenti, per flashback, in una sorta di costante rinnovata irriverenza, che si compiace di ristabilire un armonioso equilibrio tra figurazione e ammonimento. L’autore guarda alla bellezza della vita. È il monito di passeggiando nell’acqua. L’acqua sulla Terra è abbondante e non può finire. Ma la fonte vitale che invece può estinguersi è l’acqua necessaria a sostenere la vita umana, la fonte salvifica dell’esistenza…
Sono questi i temi che alimentano una pittura in bilico tra bellezza e ragione, alla ricerca di una sintonia tra piani inconciliabili: politica e forma. In questa dimensione di strano strabismo culturale, grazie a una pittura pulitissima e preziosa, emergono messaggi importanti, sottesi ai pensieri che affiorano nella rappresentazione. Ariberto osserva un mondo che gli appare sull’orlo del precipizio, ne parla in Passaggio per l’altro mondo, per indicare, dietro l’apparente semplicità dell’icona testuale, una sofisticata e intensa struttura di significazione. Nella sua indagine, estraniata ed estraniante, ci dice che la bellezza cerca di salvare il mondo ma sempre più faticosamente. Dietro la citazione, dietro il riferimento alla pala di Brera non c’è (o non c’è più) la fiducia nella ragione, così come il rimando alla Grande onda di Hokusai denuncia il progressivo innalzamento degli oceani nell’impotenza di porvi rimedio.
Si dispiega un repertorio mirato di immaginario popolare e di reperti prelevati dal gran bazar della storia dell’arte. È il suo linguaggio a parlarci anche delle nostre paure. È l’invito ad un cammino in cui il filo del passato e del passato prossimo deve legarsi al traguardo di una umanità futura, visibile appena oltre le secche del quotidiano. Ogni opera incalza così il riguardante, a cui chiede di sintonizzarsi sulla striscia figurativa del suo flusso immaginifico, mentre la pittura e la grafica evocano sensazioni visionarie, favole psichedeliche, perturbazioni imprevedibili del cuore. Il suo Sassofonista (Charlie Parker) suona come un torrente in piena, inondando il pubblico di strani cromatismi, di iridescenze di gialli-arancio, di note che sembrano storte ma che si armonizzano in un assolo appassionato. Così, alla fine, la sequenza di note-colore diventa metafora di una pittura libera, simile al Jazz, che procede in tonalità anche dissonanti ma forti, capaci di entrarci dentro e cavar fuori interiori di verità, proiettate nel futuro. È in questo modo che si restituisce al tempo il suo valore e il suo potere di attingere al passato per pensare oltre il presente. Si scioglie perciò, alla fine, in uno sguardo complessivo al percorso in mostra, il filo chiarificatore di una matassa che sembrava ingarbugliata: contaminazioni e accostamenti confluiscono nella spirale del susseguirsi tematico. Assumono dunque un senso di assoluta novità espressiva i colori cadenzati, le stridenti campiture, i segni dalle sonorità impetuose, le tessiture segniche risolte con onirica leggerezza. E intanto alcune immagini, in un intento pittorico di amara verità, sotto i nostri occhi, diventano taglienti, come pagliuzze secche che penetrano negli occhi e che fanno male.
Gianfranco Ferlisi, 2022

Biografia Ariberto Badaloni

Ariberto Badaloni, professore, pittore, grafico ed illustratore, uno dei massimi esponenti dell’arte visionaria contemporanea.
Artista dissacrante, imprevedibile, trasgressivo.
Nasce a Livorno nel 1952 da una famiglia di intellettuali, il padre Luca Badaloni giornalista poi direttore della Biblioteca Labronica di Livorno, la madre Nella Botta Badaloni prof.ssa di italiano, storia e latino, fondatrice dell’Università della Terza Età di Livorno, lo zio prof. Nicola Badaloni filosofo e direttore del Dipartimento di storia e filosofia dell’Università di Pisa, sindaco per tre legislature di Livorno ed infine il bisnonno l’Architetto Angiolo Badaloni autore del Mercato Centrale, Scuole Benci, Accademia Navale.
Diplomatosi Maestro d’arte del vetro e del cristallo presso l’Istituto Statale d’Arte di Pisa.
Conclude il ciclo di studi artistici presso la prestigiosa Accademia di Belle arti di Firenze nel corso quadriennale di Decorazione. I suoi maestri sono stati grandi pittori del 900 italiano come Prof. Dino Caponi, Prof. Pietro Tinu.
Dal 1976 inizia ad insegnare nelle scuole statali Arte e Immagine e Disegno e Storia dell’Arte.
Attivo dagli inizi degli anni ’70, come agitprop culturale della scena alternativa.
La sua vita è costellata da molteplici esperienze nei settori dell’espressione artistica, dal Teatro al Cinema Sperimentale, Audiovisivi e Computer grafica, Grafica d’arte e Grafica Pubblicitaria, Pittura ed Illustrazione.
I primi lavori risalgono agli anni Settanta.
Il Maestro è ricordato per il suo inconfondibile tratto grafico: acquaforti, acquetinte, ceremolli, litografie, xilografie ma anche per la particolarità dei quadri, acrilici su legno e su carta.
Negli anni ’80 si interessa alle culture orientali, agli aspetti delle culture e tradizioni delle popolazioni che rischiano l’estinzione.
Fonda il Teatro Vita che come scopo ha quello di “recupero attraverso il processo creativo/artistico, di coloro che si sono persi nei meandri della vita”.
La sua incredibile eccellenza tecnica e il suo straordinario eclettismo lo rendono capace di effettuare delle splendide fusioni tra arte classica e anticlassica.
Estraneo al mondo delle mode e anticonformista.
È un caso unico in questo suo essere, nelle sue opere il “Tutto” è senza luogo.
Orizzonti misteriosi e mutevoli carichi di energie evocative. I simboli del passato sono un flusso di cose trascorse, frammenti di “un’arte nell’arte”.
Si intravede la nascita di un tempo nuovo dove si fondono il senso dell’antico e del moderno.
Un ambiente di significati che traggono spunto da antiche civiltà: Egitto, Grecia, o gloriosi periodi storico-artistici come il Gotico, Rinascimento, si innestano, si incastrano, si riempiono uno accanto all’altro, uno sopra all’altro, uno dentro l’altro, ognuno aperto all’interpretazione e all’uso che ogni spettatore può recepire.
Le sue opere sono cariche di contenuti dovuti in parte alla sua sensibilità verso le problematiche che affliggono il nostro mondo.
L’età moderna ha operato un’assurda riduzione del rapporto uomo/donna/natura e le manifestazioni artistiche di questo periodo storico hanno sempre rappresentato l’esasperazione di questo rapporto.
Le sue opere sono una specie di grossi “rebus immaginari” a cui ognuno può attribuire il proprio punto di vista.
Un nuovo simbolismo contemporaneo è presente negli ultimi lavori.
Le scelte contenutistiche sono caratterizzate da richiami all’arte classica ed espressionista, la sua fedeltà alla figura, il continuo dialogo con i grandi artisti del passato e la sua predilezione per il “segno grafico” come esaltazione della tecnica specialmente sul supporto cartaceo detto volgarmente e comunemente “foglio” tradizionalmente messo sempre in secondo piano rispetto alla “tela” nella pittura.
Il “foglio di carta” che lui sa lavorare e valorizzare raggiungendo effetti davvero sorprendenti, fino alla più raffinata purificazione dell’immagine.
Nelle sue opere il segno può voler definire e rappresentare una cosa reale o un concetto in forma stilizzata, i segni diventano testimonianza di un pensiero e di una energia creativa lontana dal tempo nella quale il segno si trasforma in “Simbolo”.
Nel corso degli anni ha saputo aggiornare continuamente la sua forma espressiva non lasciandosi influenzare da mode o stili del momento continuando sempre la sua ricerca-mistico-evoluzionistica.
La sua opera si rifà all’immaginario psichedelico, a culture arcaiche, analisi psichiche, ricerche sulle attività della mente avvicinadosi così anche all’antipsichiatria.
Ha saputo fondere con un segno del tutto personale forme espressive di diverse popolazioni con una visione elastica e magicamente visionaria.
Da oltre quaranta anni il Maestro ha raffigurato l’essere umano evidenziando nelle sue immagini le problematiche che legano l’uomo e la donna alla realtà nella quale vivono.
Partecipa ad importanti manifestazioni d’arte biennali, triennali in Italia ed all’estero, le sue opere sono presenti in Collezioni, Archivi e Fondazioni pubbliche e private in molti paesi del mondo.
Ariberto Badaloni ha il suo Atelier a Vada (LI).

Info mostra

Nome della Galleria: Galleria “Arianna Sartori”
Indirizzo: Mantova – via Cappello, 17
Titolo della mostra: Passato, prossimo, remoto, futuro! Viaggio estetico nell’opera di Ariberto Badaloni
Mostra a cura di: Arianna Sartori
Testo critico di: Gianfranco Ferlisi
Inaugurazione mostra: Sabato 2 aprile, ore 17.30 alla presenza dell’Artista, presentazione di Gianfranco Ferlisi
Date mostra: dal 2 al 20 aprile 2022
Per informazioni: tel. 0376.324260, info@ariannasartori.191.it
Orario di apertura: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso Festivi




Scritto da: Arianna Sartori
Data: 30 Marzo 2022
Categoria: Mostre
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